Prendersi cura di qualcuno… non è solo fatica
Tutti abbiamo bisogno di aiuto …prima o poi e tutti possiamo aiutare. Il prendersi cura è un tema di cui abbiamo parlato altre volte.
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Leggi tuttoGiovanna Perucci
Esperta in psicogerontologia. Formatrice, ricercatrice e consulente in servizi sociosanitari, assistenziali ed educativi
CAREGIVER, ANZIANI, BADANTI E SERVIZI: INTRECCI DI SGUARDI
Maggioli Editore, 2021, 228 pagine, 20 euro
“Prendersi cura” del sistema di cura a domicilio.
Con questo obiettivo, la Caritas Decanale di Monza, con il sostegno della Fondazione Monza Insieme, ha voluto fortemente la ricerca-intervento di cui questo libro rappresenta il rapporto.
La ricerca fa efficacemente incrociare quattro “sguardi particolari” sul tema della cura a domicilio, attraverso diciannove interviste biografiche in profondità che hanno raccolto la testimonianza di sette assistenti famigliari, tre donne anziane supportate a domicilio dalla cura di assistenti famigliari, tre caregiver famigliari e sei testimoni privilegiati in quanto osservatori diretti del fenomeno.
Dopo un capitolo introduttivo che fornisce ai lettori strumenti e chiavi di lettura per decodificare il fenomeno particolarmente complesso e in continuo cambiamento della cura a domicilio (con una lente di ingrandimento sul nostro territorio del Comune di Monza), il cuore del libro approfondisce l’osservatorio dei professionisti che si occupano di far incontrare la domanda e l’offerta di assistenza famigliare a domicilio.
Queste modalità di osservazione e di interpretazione del fenomeno vengono poi fatte incrociare con i vissuti e le esperienze di vita delle assistenti famigliari, viste anche attraverso lo sguardo degli anziani assistiti e dei caregiver famigliari.
Sguardi sulla cura e sui soggetti che curano: una ricerca ambiziosa, che fa emergere la voce di tutti i componenti del sistema.
A partire dall’incrocio di queste voci, riportate fedelmente e corposamente nel testo, il libro si conclude formulando nuove piste di lavoro per migliorare la qualità del sistema di cura a domicilio, nella sostenibilità ed equità per tutti, nell’ascolto, nel riconoscimento e rispetto reciproco dei bisogni e delle prospettive particolari di ciascuno.
L’autrice conduce una coraggiosa ricerca della complessità, che non si accontenta di rappresentazioni parziali e semplificate. E ci invita ad approfondire e a prendere atto del nostro ruolo di responsabilità per promuovere, mettere in circolo e alimentare il benessere nel lavoro di cura, elemento senza il quale il sistema non è sostenibile.
L’autrice, con delicatezza ed empatia, parla direttamente a ciascuno di noi, attori attivi e competenti del sistema dalla cura a domicilio e ci permette di rileggere e di ridare senso alla nostra esperienza.
Il libro si rivolge a noi anziani, che ci troviamo in una fase della vita in cui esprimiamo il bisogno di “essere curati”;
si rivolge a noi assistenti famigliari, che abbiamo lasciato la nostra famiglia nel Paese d’origine, per svolgere lavori di assistenza e di cura nelle famiglie italiane;
si rivolge a noi caregiver famigliari, che abbiamo la responsabilità di intervenire nel rispondere ai bisogni di cura di chi, un tempo, si è occupato di noi.
Infine, il libro si rivolge a noi operatori e operatrici impegnati nei servizi di incontro per l’assistenza famigliare, noi che “stiamo nel mezzo”, con una grossa responsabilità nel promuovere una precisa “cultura della cura”, nel tenere insieme e nel promuovere reciprocità tra tutti gli sguardi competenti personificati dalle figure sopra citate. Una professionalità che richiede un’integrazione di conoscenze, di competenze, di lavoro di prossimità, di continuo confronto e di esperienza.
Il libro restituisce a tutti noi, protagonisti a vario titolo nella rete della cura a domicilio, il valore del nostro ruolo e le grandi potenzialità nel viverlo e agirlo con consapevolezza.
Ci permette di riconoscerci come parte di “un tutto”.
È proprio nel mettere al centro questo intreccio di relazioni che sta il messaggio innovativo, incisivo e audace che questo libro vuole trasmettere alla nostra comunità territoriale: promuovere il benessere di tutto il sistema della cura a domicilio, in una continua ricerca di equilibrio.
Questo è lo spirito e il cuore dell’azione della Caritas Decanale di Monza, guidata da Don Augusto Panzeri, che, attraverso piccole-grandi sperimentazioni, promuove un cambiamento culturale e collettivo nell’affrontare le situazioni di bisogno che intercetta nella nostra comunità territoriale.
Autrice: M.Pia Veladiano
Edizione: Guanda 2021;
Un cappotto indossato d’estate, inizio di una vita confusa, senza memoria, nomi e volti dimenticati, gesti ripetuti e ogni volta diversi.
Che cosa sta succedendo a zia Camilla? Una nuova presenza ad accompagnare ogni giorno, quell’ospite tedesco – la malattia di Alzheimer – che ha rimosso la propria identità, ridefinendo il gusto dei singoli gesti quotidiani. Il presente è una dipendenza sempre più marcata, negli occhi altrui il proprio cambiamento, un senso di impotenza, incredulità, paura, lontananza.
Camilla è sempre vissuta in campagna tra fiori, galline e gli amati orologi, nella grande casa dove la nipote è cresciuta con lei e con zio Guidangelo. Ora Andreina, – la nipote che zia Camilla ha cresciuto come fosse una figlia – che è oggi moglie e madre, l’assiste affettuosamente e intanto racconta in prima persona il presente e il passato delle loro vite. Andreina è l’unica della famiglia a considerare la malattia della zia come motivo per fare rimanere la zia all’interno delle mura domestiche nella casa dove ha vissuto per anni col marito, mentre tutto il resto della famiglia considera come unica soluzione il mettere la zia in un istituto che si occupa di queste malattie.
La malattia di Alzheimer prevede due percorsi contrapposti: inseguire la brutta imitazione di una normalità perduta, riportando erroneamente il malato alla realtà, oppure lasciarsi trasportare nella loro realtà, in un mare di bugie che fanno bene.
È una normalità diversa, una vita possibile per chi è malato, bella e piena, anche se diversa. È allora che ci si inventa un altro presente, zia e nipote, un rapporto forte, speciale, i ricordi dell’una nell’affettività dell’altra, pezzi di vita da ridefinire, ricollocare, ricostruire, un neo linguaggio dell’anima che nella presenza e nella gestualità riassapora il gusto della vita. Non si può guarire dalla malattia ma si può vivere in essa, dispensando allegria e gioia, affidandosi al cambiamento. Una nuova vita si mostra, nel presente ruoli invertiti, zia, mamma, nipote, non importa, a contare solo l’affetto reciproco.
Giorni felici, fatti di tempo presente, che nessuno ha più, pieno di senso, perché allegro, di libertà, senza programmi, un’isola di vita dove riconoscerci. Ciascuna di noi usciva più viva da quei pomeriggi. Era vita per tutte. Zia Camilla ci regalava la vita come dovrebbe essere.
Andreina sa capire però che da sola non può farcela, che deve chiedere aiuto. E così sa appoggiarsi a una rete di donne («le ragazze», come le chiama zia Camilla: compaesane ma anche giunte da Paesi lontani, e i servizi) che, con la sua stessa flessibilità, adattano i loro tempi e il loro mondo ai tempi e al mondo di Camilla. Donne accoglienti perché a loro volta accolte e rispettate, parte attiva di un progetto di rinascita nel quale lo sfruttamento non è contemplato.
Non è un’eroina questa figlia-nipote: è solo una donna che lascia parlare l’amore e che attinge a tutta la sua esperienza e alla fantasia per poter gestire la situazione in modo creativo.
Adesso che sei qui è un romanzo pieno di grazia, amore e comprensione, toccante anche se tratta un tema complesso e delicato con apparente leggerezza. Insegna che la paura stravolge il modo di vedere la malattia, ma anche che i sentimenti di paura, rabbia, impotenza che quasi ogni essere umano prova in queste situazioni difficili, possono convivere con umanità, creatività, leggerezza e coraggio. Un libro scorrevole e semplice nella comprensione e nella descrizione dettagliata delle cose e dei profumi, talmente “veritiera” da poter percepire gli stessi odori degli armadi della zia Camilla, del caffè e della sua vita quotidiana .
Autrice: Titti Marrone;
Edizione: Iacobelli editore 2019;
Il romanzo non è un’autobiografia anche se nasce da una esperienza personale. Racconta l’autrice “Uscivo da un lunghissimo periodo di assistenza a mia madre anziana e malata, durato otto anni. E avevo fatto esperienza di ogni tipo di badante ricavandone sensi di disagio, di mie inadeguatezze, e facendo scoperte sul mio conto che non mi sarei mai aspettata. I personaggi di Eleonora e Alina, nascono dunque da un’esperienza diretta e difficile, anche per fare tesoro di quello che avevo vissuto, per guardarmi dentro e raccontarlo con gli strumenti dell’ironia e dell’autoironia.
Sono due donne le protagoniste del romanzo, Eleonora e Alina. Eleonora è una italiana colta e laureata, che tuttavia non sa sfuggire ai condizionamenti culturali del suo tempo, e necessita di Alina perché sua madre, Erminia, soffre di Alzheimer e occorre una badante fissa in casa. Alina, dal canto suo, ha bisogno di questo lavoro perché deve mantenere tutta la sua famiglia, tra cui un figlio che studia all’estero e si vergogna del lavoro che fa la madre.
Ognuna pensa di essere diversa e invece si assomigliano molto di più di quello che credono; per di più dipendono l’una dall’altra.
Eleonora non riesce a prendersi cura di sua madre:
“(…)una madre non si può certo buttare via quando non sa badare a se stessa.(…) se c’è stato un prima con me piccola e posta al centro di ogni suo atto, dovrebbe essere sacrosanto il pareggio del dopo. Lei regredita nell’ombra amara della vecchiaia, lei sospinta verso la mortificazione di pannoloni zuppi come quelli della neonata che io fui nelle sue braccia – che lei ambiava sorridendo, cospargendomi le gambette di talco – , dovrebbe poter ricevere dalla figlia adulta lo stesso naturale accudimento che venne riservato a me. Tu hai dato a me, io adesso darò a te. Chiusura del cerchio.
Perchè invece non succede così? Perché non sento naturale affiancare il suo declino? Cos’è che al cospetto di questa bambina folle mi serra la gola, mi fa percepire mille volte amplificati odori insopportabili, mi provoca reazioni schifiltose, voglia di chiudermi la porta alle spalle e fuggire lontano?
Cattiveria pura, ingratitudine, egoismo. O incapacità di vegliare la sua vecchiaia offesa per timore di vedervi riflessa la mia che sarà peggiore, perché ancor meno di lei io potrò contare su una cura filiale: questo è poco ma sicuro. E anche perché allora non ci saranno più badanti a prezzi stracciati, disgraziate come questa Alina benedetta, capitata sul mio cammino per alleviarmi, confortarmi, sostituire con la sua pietà a pagamento il mio sentimento cattivo o forse solo confuso, ma che mi punge dentro come aculei di un riccio.” (pag.27-28) «Me la guardo e non vedo l’ora di andar via. Perché non so assistere a questo sfascio silenzioso e inesorabile, non so vegliarle questa vecchiaia accanita a fare di lei il simulacro muto e ostile della donna importante che fu.» (p. 86-87)
Per Alina è diverso, lei riesce a stabilire un contatto, forse proprio perché non coinvolta emotivamente, anche se ferita perché lei non ha potuto curare sua madre: «mi prendo in carico la madre di un’altra, di una figlia schifiltosa dallo stomaco delicato che a stento riesce a guardarla […]. La parte migliore del tempo è quella di noi due sole, senza la figlia, senza il marito, in uno spazio nostro di gesti e silenzi che anche Erminia ha imparato.» (p. 127)
Durante la lettura si prova una certa insofferenza per l’aggressività delle due protagoniste, ma le ragioni dell’una e dell’altra sanno disarmare: ci trova ora a parteggiare per entrambe, ora a odiarle tutte e due. Forse l’insofferenza deriva proprio dal capire che anche noi siamo capaci di pensare quelle cose e forse lo abbiamo proprio fatto.
Sia Alina che Eleonora sono come “capovolte”, costrette dalle circostanze a rovesciare le proprie visioni del mondo e dei rapporti. Il concetto di capovolgimento già compare nella copertina che ritrae “Alice in Wonderland” con la testa all’ingiù. Capovolta è Eleonora, femminista progressista che tuttavia non riesce a vedere del buono in una donna a cui si deve affidare; capovolta è sua madre, una volta forte e autoritaria e ora mansueta e confusa; capovolta è Alina, laureata in ingegneria elettronica e profonda conoscitrice dell’Italiano, che sceglie di apparire all’opposto per corrispondere alle aspettative e non spaventare chi deve assumerla.
Una storia amara e spietata, un romanzo sulla vecchiaia, la malattia, le delusioni della vita, i piccoli trucchi per fuggire dalle responsabilità. E’ una storia che appassiona, che regala in ogni capitolo risvolti inaspettati, raccontata con scrittura scorrevole e una struttura originale dove i vari capitoli si alternano con tre diversi “io narranti”, Eleonora, Alina, Loro. Non è un romanzo facile, perché ciascun lettore/lettrice può trovare agganci con le proprie esperienze e sofferenze. Perciò si legge, si riflette, si rilegge.
Prendersi cura di un anziano fragile
Guida pratica per il caregiver familiare
GIULIA AVANCINI – Ed Erikson 2020
Non si diventa caregiver per scelta ma per necessità, perché gli eventi della vita ci portano a doverci occupare dei nostri cari che per età e per sopraggiunte malattie fisiche e/o mentali non sono più in grado di svolgere una vita autonoma. L’affetto verso di loro ci fa assumere questo difficile ruolo che spesso rende soli, stanchi, confusi e in difficoltà. Non esiste, infatti, la professione di caregiver ma il ruolo e la formazione avviene sul campo, dove spesso si sbaglia o si ha paura di sbagliare.
Ho trovato la lettura del libro molto utile, il linguaggio è molto chiaro e dà una serie di spunti che possono aiutare a chiarire:
Ci aiuta a capire che non si può essere soli, ma si deve imparare a chiedere aiuto e farsi sostenere.
Il testo dà spunti concreti che permettono di professionalizzare il nostro ruolo, dandoci un metodo di analisi del bisogno nostro e della persona che aiutiamo, senza farsi prendere dalla paura e dal burnout. Ci suggerisce come rilevare il bisogno e le difficoltà per permettere a medici, assistenti sociali, psicologi, ecc., di dare un aiuto professionale concreto.
Inoltre, sottolinea che non dobbiamo basarci esclusivamente su compiti assistenziali ma che è importante considerare l’aspetto emozionale che spesso di fronte all’esigenza del fare passa in secondo piano.
Il libro ci aiuta a conoscere quali strumenti possiamo utilizzare per il nostro e il loro aiuto, ad esempio: l’amministratore di sostegno, la teleassistenza, ecc.
Da ultimo permette di conoscere quali servizi il territorio può offrire per condividere con noi la gestione del congiunto.
Il volume dà inoltre indicazioni su come destreggiarsi fra farmaci, «badanti» e burocrazia. Un breve glossario consente di interfacciarsi con maggiore consapevolezza con servizi, uffici e professionisti socio-sanitari.
Il libro è utile per capire i rischi personali che questo ruolo comporta e apprezzare il suggerimento di mantenere gli interessi personali e la vita di relazione che ci aiutano a svolgere al meglio il ruolo di caregiver.
La scelta di Edith – Corbaccio Ed. 2019
In questo periodo di Corona Virus ci siamo confrontati – nella migliore delle situazioni – con la reclusione forzata nelle nostre case, con il cambiamento delle nostre abitudini di vita e relazionali, con il bisogno/desiderio di inventarci modi diversi di trascorrere il tempo e gestire il lavoro, i pensieri e le emozioni, con la necessità di superare momenti di apatia, tristezza, solitudine, ansia, tempo in cui gli sbalzi di umore hanno contraddistinto le nostre giornate. Ecco in questo periodo ci siamo abbandonati al rimpianto, allo sterile ripetersi dei giorni, alla paura e all’incertezza del futuro o ci siamo posti anche in una dimensione di apprendimento?
E cosa abbiamo imparato? Su di noi, sulle persone a noi vicine? Quali abilità abbiamo appreso o sviluppato? In quali nuovi apprendimenti ci siamo sperimentati?
Qualcuno di noi è stato meno fortunato e ha dovuto affrontare anche la perdita di una persona cara, un familiare, un amico. Una perdita ancor più drammatica per l’impossibilità di assistere la persona negli ultimi istanti della sua vita, per l’impossibilità di vegliare la salma, per l’impossibilità di accompagnarla con amici e conoscenti al cimitero, momenti difficili ma importanti per salutare insieme il morto e iniziare a provare il senso di perdita. Tutto ciò sta rendendo ancora più forte il dolore, la mancanza, la solitudine. E la nostra capacità di affrontare il lutto.
E’ un trauma triplo: la perdita della persona, la perdita dei gesti, tempi e modi per gestirla, la perdita dei riti collettivi, quegli “strumenti” che normalmente ci aiutano a vivere in condivisione con altri l’esperienza del lutto. Ci sembra difficile riprendersi da esperienze così forti e scioccanti, che non ci siano parole che possano aiutarci. Il percorso di elaborazione del lutto è lungo, richiede tempo e, talvolta, di essere aiutati.
Il lutto è importante. Ma il periodo di lutto ha un termine preciso. Da quel momento in poi la perdita non è una dimensione separata dalla vita, ma viene integrata nella vita stessa. Se restiamo bloccati nel lutto, è come se anche la nostra vita fosse finita.
A tutti noi può essere di aiuto la lettura di “La scelta di Edith”.
E non perché l’esperienza devastante vissuta dall’autrice nel campo di sterminio di Auschwitz – dove perse entrambe i genitori – ridimensioni gli effetti della nostra perdita facendocela vedere meno tragica e assurda. Ma per il cammino che Edith, diventata nel tempo la dottoressa Eger, ci indica per riuscire ad affrontare e superare il trauma e il nostro dolore. Non attraverso complesse e astratte spiegazioni teoriche ma guidandoci con il racconto del suo personale modo di farlo nella sua vita personale e professionale.
“ (…) a volte i momenti che ci frastornano con desideri orribili, che minacciano di scollarci con l’assoluta impossibilità del dolore che dobbiamo sopportare, sono anche i momenti che ci fanno capire il nostro valore, il nostro potenziale, i nostri pregi. (…) non possiamo cancellare il dolore. Ma siamo liberi di accettare chi siamo, cosa ci è stato fatto e andare avanti.” La Eger ci parla di resilienza, ci fa scoprire l’enorme forza vitale dentro di noi, ci aiuta a capire che abbiamo sempre una scelta. “A guarirci non è il tempo. E’ il modo in cui lo si impiega. Guarire è possibile quando scegliamo di assumerci la responsabilità, quando scegliamo di correre dei rischi. Che siate all’alba, al meriggio o già al crepuscolo della vita, che vi siate già imbattuti nella sofferenza profonda o abbiate incontrato soltanto le prime difficoltà, che abbiate perduto la persona amata per malattia o vecchiaia, che vi stiate riprendendo da una ferita che vi ha cambiato la vita, vorrei aiutarvi a scoprire come si può fuggire da quel campo di concentramento che è la vostra mente, per diventare la persona che siete destinati a essere. Vorrei aiutarvi a sperimentare la libertà dal passato, la libertà dai fallimenti e dalle paure, libertà dalla collera e dagli errori, libertà dal rimpianto e dal dolore irrisolto. Non possiamo scegliere una vita libera dalla sofferenza. Ma possiamo scegliere di essere liberi.Vi invito a compiere questa scelta.”