Mi prendo cura di te

Mi prendo cura di te

Quando un nostro genitore – talvolta è il coniuge – perde la sua autonomia ci troviamo a vivere, spesso da un giorno con l’altro, un periodo di grande impegno e forte crisi.

Siamo abituati fin dalla nascita a trovarci di fronte a situazioni critiche e fin da bambini abbiamo imparato, con fatica, che si esce dai momenti di crisi se questi non vengono vissuti “come “fine del mondo” ma come “fine di un mondo”, se cioè troviamo il modo di vedere che la crisi si può superare, che c’è uno sbocco, che qualcuno può darci una mano, aiutandoci a costruire un nuovo equilibrio.

Se abbiamo già attraversato altri momenti di crisi, perché sembriamo così impreparati quando ci troviamo a prendersi cura di un nostro genitore anziano non più autosufficiente?
Il lavoro di cura familiare – perché di vero e proprio lavoro si tratta – non è un compito semplice, “naturale”, titolarità esclusiva delle donne. E’, invece, un lavoro complesso, che ha ricadute sia su chi lo svolge sia su chi ne è destinatario. La fatica di questo impegno deriva dalla necessità di coordinare le diverse azioni da fare, difficoltà di integrare le tante informazioni ricevute, informazioni, talvolta contrastanti, che rendono faticoso e confuso individuare i diversi servizi disponibili sul territorio, spesso noti – e quindi fruibili – solo dopo tanto tempo. Inoltre occorre fare i conti con le diverse emozioni presenti e magari anche le diverse persone che, all’interno della casa, danno aiuto.
Il lavoro di cura, allora è così impegnativo perché coinvolge/travolge, diverse dimensioni della vita delle persone: prima di tutto quella pratico-organizzativa, poi quella emotiva, quella relazionale, ed, infine, la dimensione etica.
Proviamo a guardarle più da vicino.

E in essa troviamo ad esempio: la qualità della relazione stessa tra chi cura e chi è curato che può essere di vicinanza, ma anche di distanza, la modificazione, in direzioni diverse, del legame di un tempo, la sollecitudine verso i bisogni, il prendersi cura dei legami della persona ammalata, la capacità di sviluppare collaborazione, di gestire il conflitto, di mediare, e altro ancora. In questa trama relazionale deve trovar posto – agli occhi di chi osserva – ogni feedback che arrivi dalla persona curata, da altri familiari, anche da soggetti esterni. […]

Gesti concreti e relazionalità sono a loro volta connessi con la dimensione emotiva, cioè con il mondo dei sentimenti e delle emozioni, […] la dimensione emotiva chiama in causa allora aspetti quali: essere preoccupati, sentirsi in ansia per la persona che si cura, averne a cuore il benessere, ma anche sperimentare tutta una vasta gamma di emozioni e di sentimenti sia positivi sia negativi. [..] Da ultimo, non per importanza, nel lavoro di cura si ravvisa una dimensione etica. Essa riguarda sia valori veri e propri sia azioni nei confronti della persona e dell’identità dell’anziano destinatario della cura. Ci riferiamo innanzi tutto al senso di responsabilità e di impegno talvolta alla base della decisione di diventare caregiver, ma anche a tutte le azioni volte a rispettare e coltivare l’autodeterminazione dell’altro, a riconoscerne e salvaguardarne la dignità, a rispettarne i valori e farli “vivere” nella quotidianità, a salvaguardare anche i propri valori nella relazione interpersonale.»1
Se affrontato senza un aiuto questo compito di cura può portare a condizioni di “vulnerabilità” dei singoli e dell’intera famiglia; si possono, cioè, generare relazioni così sofferenti e dolorose da rendere le cure prestate una cura “senza qualità”. Talvolta una cura dolente, un insieme di ferite psicologiche2, subite o inferte, tanto più dolorose perché “invisibili”.
E’ importante offrire alle famiglie momenti di ascolto professionale per comprendere gli specifici bisogni di ciascuno, momenti di orientamento sui servizi esistenti e da attivare (servizi pubblici e privati, associazioni, iniziative, volontariato), momenti inoltre, di supporto alla “regia” della cura.
erogata in famiglia, molto spesso svolta con competenza e sensibilità maturata sul campo, meritevole di rispetto e riconoscimento.
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1. Cfr. Baronchelli I., Perucci G. Taccani P., Zenobio D., (2008) “Prendersi cura in famiglia: una relazione a rischio di cortocircuito?” Prospettive Sociali e Sanitarie, 7,

2. Cfr. Caritas Ambrosiana., (2011) Ferite invisibili. Il maltrattamento psicologico nella relazione tra caregiver e anziano. FrancoAngeli, Milano


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