La scelta di Edith

La scelta di Edith – Corbaccio Ed. 2019

In questo periodo di Corona Virus ci siamo confrontati – nella migliore delle situazioni – con la reclusione forzata nelle nostre case, con il cambiamento delle nostre abitudini di vita e relazionali, con il bisogno/desiderio di inventarci modi diversi di trascorrere il tempo e gestire il lavoro, i pensieri e le emozioni, con la necessità di superare momenti di apatia, tristezza, solitudine, ansia, tempo in cui gli sbalzi di umore hanno contraddistinto le nostre giornate. Ecco in questo periodo ci siamo abbandonati al rimpianto, allo sterile ripetersi dei giorni, alla paura e all’incertezza del futuro o ci siamo posti anche in una dimensione di apprendimento?

E cosa abbiamo imparato? Su di noi, sulle persone a noi vicine? Quali abilità abbiamo appreso o sviluppato? In quali nuovi apprendimenti ci siamo sperimentati?

Qualcuno di noi è stato meno fortunato e ha dovuto affrontare anche la perdita di una persona cara, un familiare, un amico. Una perdita ancor più drammatica per l’impossibilità di assistere la persona negli ultimi istanti della sua vita, per l’impossibilità di vegliare la salma, per l’impossibilità di accompagnarla con amici e conoscenti al cimitero, momenti difficili ma importanti per salutare insieme il morto e iniziare a provare il senso di perdita. Tutto ciò sta rendendo ancora più forte il dolore, la mancanza, la solitudine. E la nostra capacità di affrontare il lutto.

 E’ un trauma triplo: la perdita della persona, la perdita dei gesti, tempi e modi per gestirla, la perdita dei riti collettivi, quegli “strumenti” che normalmente ci aiutano a vivere in condivisione con altri l’esperienza del lutto. Ci sembra difficile riprendersi da esperienze così forti e scioccanti, che non ci siano parole che possano aiutarci. Il percorso di elaborazione del lutto è lungo, richiede tempo e, talvolta, di essere aiutati. 

Il lutto è importante. Ma il periodo di lutto ha un termine preciso. Da quel momento in poi la perdita non è una dimensione separata dalla vita, ma viene integrata nella vita stessa. Se restiamo bloccati nel lutto, è come se anche la nostra vita fosse finita.

A tutti noi può essere di aiuto la lettura di “La scelta di Edith”.

E non perché l’esperienza devastante vissuta dall’autrice nel campo di sterminio di Auschwitz – dove perse entrambe i genitori – ridimensioni gli effetti della nostra perdita facendocela vedere meno tragica e assurda. Ma per il cammino che Edith, diventata nel tempo la dottoressa Eger, ci indica per riuscire ad affrontare e superare il trauma e il nostro dolore. Non attraverso complesse e astratte spiegazioni teoriche ma guidandoci con il racconto del suo personale modo di farlo nella sua vita personale e professionale.

“ (…) a volte i momenti che ci frastornano con desideri orribili, che minacciano di scollarci con l’assoluta impossibilità del dolore che dobbiamo sopportare, sono anche i momenti che ci fanno capire il nostro valore, il nostro potenziale, i nostri pregi. (…) non possiamo cancellare il dolore. Ma siamo liberi di accettare chi siamo, cosa ci è stato fatto e andare avanti.” La Eger ci parla di resilienza, ci fa scoprire l’enorme forza vitale dentro di noi, ci aiuta a capire che abbiamo sempre una scelta. “A guarirci non è il tempo. E’ il modo in cui lo si impiega. Guarire è possibile quando scegliamo di assumerci la responsabilità, quando scegliamo di correre dei rischi. Che siate all’alba, al meriggio o già al crepuscolo della vita, che vi siate già imbattuti nella sofferenza profonda o abbiate incontrato soltanto le prime difficoltà, che abbiate perduto la persona amata per malattia o vecchiaia, che vi stiate riprendendo da una ferita che vi ha cambiato la vita, vorrei aiutarvi a scoprire come si può fuggire da quel campo di concentramento che è la vostra mente, per diventare la persona che siete destinati a essere. Vorrei aiutarvi a sperimentare la libertà dal passato, la libertà dai fallimenti e dalle paure, libertà dalla collera e dagli errori, libertà dal rimpianto e dal dolore irrisolto. Non possiamo scegliere una vita libera dalla sofferenza. Ma possiamo scegliere di essere liberi.Vi invito a compiere questa scelta.”

“Siamo tutti chiamati a inventarci una nuova vita.”

Sono giorni in cui siamo particolarmente grati a coloro che ci curano, coloro che ci informano, coloro che ci consentono di acquistare cibo, farmaci e non solo, coloro che ci controllano aiutandoci a ricordare le regole che dobbiamo rispettare. Siamo grati anche a coloro che ci strappano una risata con messaggi ironici. Un grazie di cuore anche a chi ci aiuta a sviluppare il pensiero in un momento in cui la paura, la noia, la tensione rischiano di bloccare la nostra capacità di evolvere. 

E’ per questo motivo che pubblichiamo volentieri alcune riflessioni[1] della regista Cristina Comencini pubblicate il 12 marzo in una lettera rivolta ai francesi.

Cari cugini francesi,

Se riusciremo a sopravvivere, il problema in Italia sarà capire se le coppie, con o senza figli, donne e uomini single, resisteranno a chiudersi in casa,  se riusciranno a stare insieme, a divertirsi di nuovo della compagnia reciproca o della solitudine scelta, dopo una convivialità forzata e ininterrotta di un mese intero. Il decreto del governo afferma che possiamo uscire a fare una passeggiata, ma solo con coloro che vivono già con noi, senza amici, nemmeno visite a parenti che vivono in altre case. Solo una famiglia stretta o nessuno se siamo soli. Niente cinema, niente teatri, niente concerti, musei, ristoranti, uffici, scuole, università. Solo un membro della famiglia può fare shopping. Di fronte ai supermercati, ci sono file silenziose di persone che indossano la maschera, ogni persona deve essere a 1 metro di distanza dall’altra, che sta aspettando che qualcuno esca per entrare a turno. Stessa cosa di fronte alle farmacie. In strada, sventiamo quando incontriamo un altro passante. 

Molti di noi hanno pensato al Decameron Boccacciano. Intorno all’anno 1350, in fuga dalla peste, un gruppo di giovani, sette donne e tre uomini, si rifugiarono fuori dalle mura di Firenze e, per passare il tempo, raccontarsi notizie, sostituire un mondo immaginato con il mondo reale, in cadere a pezzi. Altri rileggono la peste di Albert Camus o le pagine dei Promessi Sposi di Alessandro Manzoni che descrivono un’altra epidemia di peste, quella del 1630, durante la quale tutti i nobili che potevano farlo fuggirono da Milano, come accadde passato in questi giorni, non appena la città è stata classificata “zona rossa”. Come se potessimo fuggire senza causare danni nei luoghi in cui ci rifugiamo, o considerando che il destino degli altri è indifferente per noi.

I giornalisti scrivono che non dovremmo lamentarci e ricordarci di ciò che i nostri genitori hanno sofferto durante la guerra. Altri accusano i giovani di non rispettare le regole perché escono sabato sera, non hanno paura, sono giovani e pensano che i vecchi siano gli unici ad ammalarsi. Un anziano attore italiano ha chiesto loro se era giusto uccidere tutti i nonni allo stesso tempo. Vorremmo che un poeta tornasse a casa per raccontarci storie e intrattenere i nostri figli. Internet non è mai stato così importante. Le chat online tra amici, sorelle e familiari sono molto popolari. Migliaia di gif e immagini divertenti sul virus, video esilaranti da vecchi film, sono stati scambiati nei giorni precedenti la chiusura di tutto. Ora l’atmosfera è più pesante, restiamo in silenzio – con l’ordine del governo: non muoverti! Sembra facile In uno dei post divertenti che circolano, leggiamo: “Non capita tutti i giorni di salvare l’Italia rimanendo in pigiama.” Ridiamo, ma giallo.

È arrivato il momento della verità, per le coppie che non si sostengono a vicenda, per coloro che dicono di amarsi, quelli che hanno vissuto insieme per una vita, quelli che si sono amati per un breve periodo, quelli che hanno scelto di vivere da soli a causa del gusto per la libertà o perché non avevano altra scelta, per i bambini che non hanno più scuola, per i giovani che si vogliono l’un l’altro ma non possono incontrarsi … 

Siamo tutti chiamati a inventarci una nuova vita, per sentirci vicini anche se siamo lontani, per sistemare i nostri conti con la sensazione che evitiamo a tutti i costi: la noia. E anche la lentezza, il silenzio, le ore vuote – o piene delle grida dei bambini rinchiuse in casa. Abbiamo davanti a noi la vita che abbiamo scelto per noi stessi o che il destino ci ha dato, la nostra “casa” – non la casa della malattia ma la casa che abbiamo costruito nel corso degli anni. Lo definirei un test di verità. In questi giorni, ciò che vince è anche la vita virtuale, dal momento che non possiamo toccarci. Film in TV, serie, Netflix, Amazon, Google … Passiamo ancora più ore davanti ai nostri computer o con le teste appoggiate ai nostri laptop.

Ma di tanto in tanto ci saturiamo, non ce la facciamo più, alziamo la testa e scopriamo molte cose. Il figlio che si pensava fosse ancora un bambino è diventato un giovane uomo e non ce ne siamo resi conto; ci disse sorridendo: “Ora devi stare con noi, vero?” Puliamo freneticamente le case, puliamo il frigorifero, sistemiamo i libri – poi facciamo una pausa e notiamo che nel cortile il ciliegio è in fiore, restiamo mezz’ora a guardarlo e si ha l’impressione di non averlo mai visto. Mandiamo compulsivamente messaggi per non sentirci soli, e una telefonata può durare mezz’ora, come quando eravamo giovani e i tempi non erano quelli di oggi, che noi fatto l’amore al telefono. Succede anche che un amico ti dica: “Forse domani possiamo fare una passeggiata insieme, rimanendo a distanza, che ne pensi?” E l’idea ti porta un brivido di piacere proibito. Viviamo in modi diversi i momenti della nostra vita e ci sembra nuovo perché è lo stesso ma invertito: gli oggetti, le persone sono diventati visibili e l’abitudine si è dissipata, la “stordente abitudine, come la chiama Proust, quel piccolo nascondere quasi tutto l’universo”  .

(…) Domani, quando riaprirà la porta della casa, correremo per incontrare il tempo veloce, frammenti di cose e persone toccati e i sogni, l’arte, saranno la sola e unica parte rovesciata della nostra vita ricordiamo che un altro strato può coprire i giorni e rivelarli nel bene come nel male – una volta che il vuoto, la noia e la paura sono superati.


[1] Il testo originale integrale in next.liberation.fr/livres/2020/03/12/coronavirus-chers-cousins-francais-par-cristina-comencini_1781454