Il lutto…e dopo

Il lutto…e dopo

L’esperienza di accudimento del nostro familiare, che abbiamo gestito fino a ieri, è finita. Inizia ora una nuova fase della nostra vita sulla quale hanno spesso ripercussioni gli aspetti psicologici, sociali e fisici che hanno caratterizzato il nostro impegno.

Perdere qualcuno è sempre doloroso, ma lo è ancora di più se di quella persona ci siamo presi cura intensamente e a stretto contatto.
Durante quel periodo i nostri rapporti sociali possono aver visto una drastica riduzione o possono essere stati resi fragili e adesso ci può mancare il desiderio stesso di relazionarci agli altri. Il periodo che coincide con la fine delle responsabilità di assistenza nei confronti del nostro familiare può essere un periodo veramente difficile.
Il lutto è un’esperienza molto personale: ognuno di noi può viverlo diversamente. Non stupiamoci quindi se, guardando gli altri familiari, vedremo reazioni diverse: si reagisce in base alla propria personalità, al proprio atteggiamento di fronte alle difficoltà, al proprio stile di vita, alla propria fede, al legame che aveva con la persona morta. Esistono però degli elementi comuni a tutti.
Possiamo sentire dentro di noi emozioni difficili, destabilizzanti, talvolta contrastanti e compresenti: rabbia, impotenza, tristezza, frustrazione, senso di colpa per ciò che riteniamo avremmo potuto fare di meglio o di più, sollievo, paura, ansia, ecc. Può succedere di sentirci come se la tristezza non dovesse scomparire mai.
Queste emozioni normali, sono reazioni che la maggior parte delle persone sperimenta. Insieme a questi sentimenti può arrivare lo shock di comprendere quanto grande sia stata quella parte della nostra vita che avevamo dedicato al compito di cura.
Ancora più forte è il vissuto quando muore il secondo genitore e ci accade di scoprirci orfani di padre e di madre. Un giorno o l’altro, a qualsiasi età, ciò accade. Lo sapevamo inevitabile ma, al pari della nostra morte, sembrava lontano e, in realtà, inimmaginabile.
“Dopo la morte dei nonni, e poi dei genitori, non c’è nessuno dietro di noi. Scomparendo, i genitori portano via con sé una parte di noi. Adagiandoli nella tomba, sotterriamo anche la nostra infanzia. In quanti siamo a vivere senza parlarne con nessuno questo doppio lutto che ci fa vacillare e ci rende fragili per la violenza dei sentimenti da cui siamo attraversati all’improvviso? Quanti di noi si sentono trasportati da ondate di emozioni spesso inconfessabili? Come trovare il coraggio di raccontare a qualcuno questo disordine dei sentimenti, questo miscuglio di rabbia, di oppressione, di pena infinita, di irrealtà, di rivolta, di rimorsi e di strana libertà da cui siamo invasi? Sarà normale provare simultaneamente o in successione quest’impressione terribile di abbandono, di vuoto, di lacerazione, e d’altro canto una volontà di vivere più forte della tristezza, la gioia sorda e trionfante di essere sopravvissuti, la strana coesistenza della vita e della morte? (Lidia Flem, Come ho svuotato la casa dei miei genitori. 2005)”.

Se chi muore è un coniuge anziano occorre pensare allo specifico di questa perdita e all’elaborazione del lutto che essa richiede. La fine del legame tra due coniugi anziani è qualcosa che scardina profondamente la vita di chi sopravvive. È un dolore che minaccia la capacità stessa di continuare a vivere: oltre al vuoto lasciato dal coniuge deceduto occorre, infatti, fare i conti con la necessità e la capacità di ritrovare un altro equilibrio, diverso da prima.
Indipendentemente dal legame che c’è stato tra i due, in una coppia, negli anni, si viene a consolidare una divisione di ruoli e di compiti nella vita sia relazionale sia organizzativa, in casa e fuori. La modifica forzata di questo assetto, per l’assenza di uno dei membri della coppia, comporta per l’altro uno squilibrio forte e la necessità di cambiare qualcosa che era ormai diventato un «modo di essere», parte della propria identità. Tutto ciò in una fase della vita, la vecchiaia, dove ogni cambiamento provoca fatica, confusione, incertezza, talvolta vera e propria paura. L’anziano che resta può essere sì una persona fisicamente autosufficiente e senza particolari patologie invalidanti ma, emotivamente, è un essere sofferente e spaventato. Talvolta, la costante insoddisfazione e insofferenza dell’anziano coniuge possono essere l’unico modo per esprimere ai familiari inquietudine profonda e ansia davanti all’equilibrio interiore perduto per l’assenza di quella persona che era diventata «l’altra metà di sé».

Ogni lutto richiede un tempo cronologico e un percorso interiore per essere elaborato.
Ciascuna emozione gioca un suo ruolo specifico nel processo di cicatrizzazione. Siamo tutti tentati dal chiudere in un cassetto le emozioni più difficili e dolorose. Ma così si rischia di ottenere lo scopo contrario: si accresce lo stress e si rallenta il processo di elaborazione del lutto.
È sicuramente di aiuto conoscere quali sono i sintomi, fisici e comportamentali, non solo psicologici, che possiamo provare. Possiamo avere dei problemi fisici come: grande stanchezza, nausea, mancanza di energie, assenza di appetito e quindi dimagrimento, o al contrario fame nervosa e quindi aumento di peso, disturbi del sonno, mal di testa, senso di oppressione al petto o alla gola, indebolimento del sistema immunitario.
Anche il nostro comportamento può cambiare: ci sentiamo irrequieti, non abbiamo voglia di stare in compagnia, tendiamo a essere iperattivi per non pensare, possiamo avere allucinazioni uditive e visive, avvertire la presenza della persona morta e sognarla.

Diamoci il tempo di riprenderci, tempo per essere in grado di andare avanti e di prendere decisioni.
Occorre, a un certo punto, decidere di chiudere con una fase e andare avanti ricominciando a prenderci maggiormente cura di noi stessi. Occorre uscire dal sentirsi «senza ruolo e senza scopo», ricreando nuove relazioni e nuovi interessi.
È importante condividere sentimenti e stati d’animo con qualcuno: può trattarsi di aiuti informali forniti da amici o familiari o di aiuti formali forniti da professionisti esperti, in un rapporto individuale o in un gruppo di sostegno o auto/mutuo aiuto.
Essere capaci di mantenere viva la memoria di una persona buona, di provare per lei nostalgia sono segnali della nostra capacità di tollerare la paura, la rabbia, il dolore, la frustrazione per la sua perdita.
Sono segnali della fine del periodo di lutto. Il lutto è elaborazione della perdita e del dolore, perciò anche evoluzione e progetto. C’è un tempo per la sofferenza e un tempo per la gioia, dopo l’inverno torna la primavera.


I commenti sono chiusi.