Una cura dolente
Nella normalità della cura può accadere qualcosa che la trasformi in cura dolente? Quanto la dipendenza dell’anziano, la fatica emotiva del prendersi cura, la storia passata possono compromettere la relazione tra un/a figlio/a e l’anziano genitore o quella tra marito e moglie?
È possibile che le relazioni tra anziano e caregiver diventino conflittuali o mal-trattanti, nonostante l’intenzione di “star vicino”, di “esserci” nell’accompagnamento lungo l’ultimo tratto della vita del proprio anziano?
Nella relazione di cura, mal-trattamento è “un insieme di comportamenti / atteggiamenti, episodici o ripetuti o un vero e proprio stile relazionale, all’interno di una relazione asimmetrica, dove l’anziano dipende, parzialmente o totalmente dall’altro. (…) toni di voce elevati, aggressività verbale, ricatti, minacce, imposizioni o pretesa di comportamenti, uso di termini volgari o irrispettosi, disconferme comunicative (ad es. silenzi, uscite dalla stanza, mancate risposte a domande), e anche contatti fisici connotati da impazienza, concitazione. ”
All’interno di un atteggiamento di accudimento nei confronti dell’anziano, pur nella diversità di storia, relazioni, modalità di cura, anche i lunghi anni di accompagnamento, l’intensità dell’accudire, l’alto coinvolgimento emotivo, e, non ultimo, la gravità di alcune patologie. hanno un forte peso nel determinare il mal-trattamento.
La testimonianza di chi assiste anziani affetti da demenza, conferma il nesso causale tra compiti della cura e stress fisico, psicologico, emotivo e sociale, soprattutto quando il deterioramento cognitivo si manifesta in disturbi comportamentali “insopportabili”: il caregiver sente crescere l’esasperazione, fa maldestri tentativi di contenimento o di correggere dell’anziano, alla fine esplode, “Mi parte l’embolo!” dice una figlia. Spesso i caregiver sono dolorosamente consapevoli di perdere di vista, in quei momenti, la qualità della cura ma come impietriti di fronte all’inevitabilità dei propri agiti.
Il mal-trattamento emerge anche nella relazione tra caregiver e anziano “lucido”. Questi familiari esprimono il disagio di prendersi cura/essere accanto non ad un malato, ma ad una persona che sta attraversando la vecchiaia. Un motivo che acuisce il disagio è la difficoltà, a volte l’impossibilità, di ascoltare e comprendere se stessi e l’altro, di creare un rapporto, sì asimmetrico, ma tra adulti. Per qualcuno si tratta di una dolente, disperata ricerca di riconoscimento e gratitudine per l’impegno prodigato verso il familiare e che gli viene ributtato addosso come intollerabile controllo; per altri la difficoltà di figlio/a nello stare accanto a un genitore anziano privo di speranza, nel non riuscire a so-stare con una presenza disponibile a capirne il malessere senza sentirsene responsabile e/o “contagiato”.
Anche gli anziani, tuttavia, possano mal-trattare: una verità difficile da dire in un contesto sociale che privilegia un’immagine stereotipata della vecchiaia dove l’enfasi è posta sulla fragilità. Se si tratta di anziani dalla mente perduta, il dolore del caregiver per essere trattato male è accompagnato quasi sempre da un’assoluzione “É colpa della malattia… ” ma aggrava il senso di perdita del familiare di un tempo. Quando si tratta, invece, di anziani “lucidi”, il caregiver vive come mal-trattamento le scene di gelosia, la pretenziosità, la non riconoscenza.
Esistono anche situazioni “ad elevata conflittualità”, nelle quali il caregiver enfatizza il bisogno dell’anziano prendendo decisioni sulla sua vita, quest’ultimo le rifiuta rivendicando con forza la propria capacità di decisione. Una relazione molto sofferta per entrambi.
Aspetti assistenziali, relazionali, emotivi ed etici si intrecciano nella cura generando, a volte, cortocircuiti relazionali da cui possono discendere situazioni di forte dolore, attacchi alla dignità della persona e alla sua autonomia che vanno a colpire sia l’anziano sia, talvolta, il caregiver stesso, innescando processi di “vulnerabilità” dei singoli e dell’intero sistema familiare.
I caregiver si pongono domande importanti :
“Quanto sono in grado di sostenere ancora il peso della cura?”.
“Che cosa mi aspetto da me e che cosa si aspettano gli altri (parenti, amici, vicini di casa, società)?”
E infine la domanda più difficile da dire: “Quanto sono disposto a cambiare per poter prendermi cura dell’altro ?”.
Avere anche solo la libertà interiore di porsi queste domande è importante ma occorre fare in modo che esse trovino risposte in nuove forme di aiuto: gruppi di auto aiuto, supporto psicologico a coloro che invecchiano “senza pace”, interventi di mediazione familiare nelle situazioni ad alta conflittualità.