Come uscire dalla trappola dell’autosufficienza e vivere una vita di qualità?
Quando alcune capacità fisiche diminuiscono, spesso anche l’autostima segue. Soprattutto se abbiamo sempre considerato la malattia o il limite come qualcosa che suscita pietà o paura, è normale che spostiamo questi sentimenti su di noi stessi o li neghiamo, o opponiamo una feroce resistenza.
Occorre invece continuare a vedersi interessanti, capaci, pienamente presenti e insistere affinché gli altri ci rispettino in questi termini.
Quando ci troviamo in momenti difficili e ci sembra di non riuscire ad affrontarli può essere utile fermarsi e cercare di ricordare come abbiamo affrontato – in altri momenti della nostra vita – situazioni di non autonomia, ad esempio un ricovero per malattia, un braccio o una gamba fratturati. Quali emozioni abbiamo provato? Quali strategie abbiamo adottato per affrontare durante quel periodo? Come abbiamo superato l’iniziale depressione? A chi abbiamo chiesto un aiuto? Chi ci è stato vicino?
Ricordiamoci che le difficoltà mettono in evidenza le nostre competenze e la nostra resilienza, la nostra capacità, cioè, di attivare le competenze e gestire la situazione in modo costruttivo.
Passi da fare
Il primo passo è quello di prendere consapevolezza dei nuovi limiti. Si, nuovi, perché in realtà ne abbiamo sempre avuti anche quando eravamo giovani.
Il secondo passo è accettare il dolore per la perdita di quella capacità/funzione: si tratta di una vera e propria ferita. Momenti, quindi, periodi di tristezza e dolore sono normali. Occorre però riflettere su ciò che si è perso (vista, udito, capacità di camminare…) e su ciò che non possiamo più fare da soli, non in assoluto. Quanto quell’abilità persa è fondamentale per la nostra identità? E’ importante camminare o è più importante uscire e vedere il mondo? Quest’ultima cosa possiamo farla anche in carrozzina magari aiutati da qualcuno!
Il terzo passo è quello di cercare di venire a patti con quello che è successo: occorre accettare (invece di negare) di riconoscere il proprio bisogno di chiedere aiuto e accettarlo. I limiti richiedono sempre flessibilità e improv-visazione. All’inizio i compromessi sembrano intollerabili ma occorre imparare a bilanciare la cura di se’ con l’assistenza da parte di altri e accettarlo con dignità: da ciòpossono arrivare anche benefici inaspettati !
Il quarto passo consiste nel ricalibrare le nostre energie tra insistere e mollare. Ogni piccolo atto che a prima vista può sembrarci avvilente può in realtà aiutarci a riprendere una sensazione di controllo sulla nostra vita. La capacità persa segna la fine di un mondo, non la fine del mondo!
Il quinto passo è quello di passare da controllare una situazione a gestirla, fino ad arrivare a gestire le persone che la controllano al nostro posto. Ricordiamoci che dipendenza non significa impotenza ed è diversa dalla vera incompetenza.
Ma perché è così difficile venire a patti con la perdita di autosufficienza?
Perché i passi che abbiamo detto sopra comportano un lavoro per :
- riconfigurare le relazioni con il mondo esterno e con il mondo interno (la nostra identità)
- scollegare la percezione della nostra identità dalle nostre singola capacità/incapacità
Inoltre, questi cambiamenti comportano una diversa distribuzione del potere nelle relazioni che abbiamo con chi ci circonda ed occorre parlarne con le persone coinvolte (figli, amici, badanti, ecc.) con onestà. È necessario farlo, da un lato, per mantenere la nostra identità e autostima, dall’altro, per mitigare senso di colpa e risentimento. Potremmo sorprenderci nello scoprire che aiutare non è solo un peso ma che rende felice chi aiuta! Le persone amano aiutare, basta dare loro l’opportunità di farlo. Ricordiamoci, però di sentire ed esprimere gratitudine per l’aiuto ricevuto!
Inoltre, c’è un modo di chiedere, accettare e apprezzare l’aiuto che rende grato anche colui che lo offre. Chiedere aiuto permette autonomia e controllo della vita quotidiana dentro una rete di sicurezza, da potere sulle circostanze e fa sentire chi aiuta generoso e importante.
L’obiettivo è dare e ricevere con grazia (= facilità nell’accettare l’aiuto, dignità di fronte alla difficoltà, gratitudine senza risentimento, vulnerabilità, apertura). Quando qualcuno mi da’ qualcosa è un dono, una cortesia in una società non ageista (Autosufficienza o autonomia? Di cosa parliamo?)
Insomma dipendere non è più imbarazzante alla fine della vita di quanto non lo sia all’inizio.
Cosa ci può aiutare?
Le relazioni sono ciò che da significato alla nostra vita. Non si supera mai il bisogno di compagnia e questa ci sostiene sempre. Allora proviamo a
- Forgiare, ri-configurare, valorizzare una rete di relazioni informali basate sul bisogno, sull’abilità, sugli interessi reciproci, sull’amicizia e il baratto di ogni tipo. Cerchiamo di creare e mantenere una rete che vada oltre la famiglia. Può sembrare faticoso ma oggi ci sono varie opportunità. Non tutti abbiamo (facciamo parte di) una famiglia e siamo fortunati se questa è funzionale. Molti ne scelgono una al di fuori dei legami biologici e coniugali, relazioni che necessitano di fortuna, lungimiranza e immaginazione.
- Trovare modi per connettersi al mondo e rimanere in contatto anche e soprattutto se siamo persone introverse. Usiamo strumenti nuovi e vecchi insieme; internet e telefono, per parlare con i nipoti o amici lontani . Purtroppo in Italia solo 3 su 10 degli over 65 si connettono in rete.
- Creare reti intergenerazionali. I giovani hanno molto da insegnare ai vecchi e viceversa. Certo avere amici più giovani a volte fa sentire più giovane, a volte più vecchia. È complicato anche per loro. I contatti tra diverse generazioni generano curiosità ed empatia e la curiosità non invecchia[1]
- Uscire di casa: ciò aiuta il corpo e la mente. Mettiamoci alla prova, evitiamo che il nostro mondo rimpicciolisca. Impareremo qualcosa e talvolta ci divertiremo. Inoltre è dimostrato che l’attività fisica in ambienti esterni stimola l’attività del cervello.
[1] Ammaniti Massimo., La curiosità non invecchia. Elogio della quarta etc., Mondadori Milano 2017